domenica 5 marzo 2017

Gabriele Pepe


Gabriele Pepe è un vecchio amico di Blanc, di cui mi sono già occupato nel 2006 quando uscì, a cura di Erminia Passannanti, il volume collettivo Poesia del dissenso II (Joker).

Pubblico ora questo suo poemetto inedito, costruito sull’attenzione alla parola e al ritmo – che si è fatto negli anni meno compulsivo, per dare invece spazio al discorso, che si vuole immaginifico anziché astratto, sintetico – e sull’infiammarsi della passione, che riempie l’attimo fugace. Passione per la vita, anzitutto, e per il piacere dello sguardo quando la interroga nel suo farsi e nel suo disfarsi, secondo parametri cari al razionalismo illuminista e, nel contempo, al gioco fonematico, che è proprio dell’orecchio fanciullo del poeta.



1.
Necessario, a volte, immergersi in un intimo spiraglio:
farsi frammento clandestino d'un calendario umano
il rintocco residuo di un tempo mai cronometrato

e immaginare meridiani e paralleli inquieti
fino all'estremo di un orizzonte obliquo
appeso all'attimo incoerente quando lo spazio
distorce la matrice e precipitano visioni
presagi archetipali di solstizi ed equinozi

ben oltre la dottrina dei nostri sguardi indagatori
che, come steli di pupilla, oscillano tra luce ed eclissi

Nel mito del concreto, frequenza e costanza d'onda,
di vita in  vita, la vita, vivendo, s'infiamma.
Fragile e densa carne di stella
nel fulcro dei sensi collassa e s'irradia
raggio per raggio, pigreco miraggio,
giostra e giostraio del palio mentale.

Il vento indifferente agita ancora
le dotte affermazioni di filosofi e scienziati
gli ultramondi sensibili di santi e sciamani.
Scende insolente la pioggia. Senza contegno liquida:
memorabili tesi, argute teorie, incrollabili certezze
nel luccichio sapiente d'acque dolci e salmastre.
Brucia assoluto nei campi del vuoto
il fiore quantico dell'infinito mutare:
da fiamme a fibre, bagliore di nervi
siamo un dardo cosciente di luce che genera forme
e polvere alla polvere, cenere alla cenere
ogni scintilla torna al fuoco originale

Ma conquistare l'ignoto alquanto ci costa:
un patrimonio faticosamente accumulato di gesti
fin troppo dissoluti, ineffabili crudezze, nodali
esperienze sperperate a braccia conserte e passi felpati

Forse se avessimo tentato un'altra insurrezione
una rivolta nuova senza mai  sfiorare il grilletto
incandescente delle parole dolorose;
se avessimo parlato una lingua accorta
senza  mai vendicare quel barlume a volte
insofferente a volte rassegnato che ci precede
tra il battere di ciglia e l'eco delle palpebre
forse staremmo tutti bene e ancora del tutto vivi



2.
Tra basso cielo e vasta terra  concedersi una tregua:
una promessa di purezza totalmente disarmata
il nostro armamentario inferno deposto per la resa

e aprirsi al perdonare come sempre fa la retina
ogni qualvolta che, nel suo duplice affabulare,
il mondo capovolge spacciandolo per vero.
Simulacro intellegibile tutto mirato a lucido
sottoposto a ragionevole interpretazione

ben oltre i sacri canoni del giorno e della notte
le ambigue  volontà del sonno e della veglia

Perché materia ardente materia oscura,
progetto sintomatico dell'endoverso,
qualunque fosse all'origine la causa del dividere
l'oggetto del comprendere, in conclusione
ignari come fragili conchiglie gettati a capofitto
tra le scabrosità dell'ego, guerreggiando, stiamo.

Sperduti a dismisura in ogni pianto nascituro,
e luogo alieno a qualunque verità di fuga
senza requie: respiro per singolo  respiro.
Un velo esteso dentro e fuori e tutt'intorno
come se al mondo fosse un altro del tutto estraneo
al ciclo circadiano a sognare l'umanità che erige
il sogno quotidiano dei fatti e dei misfatti.
Per tutto il resto di certo non bastano le  forze
che appena avanzano a porgersi domande
che ansiose tremano e volteggiano nell'aria
in trepidante attesa che oracolo risponda,
sperando, invano, che orecchio le raccolga

Istante per istante, sorge e risorge il moto
dei pianeti: e nel punto preciso, incrocio di creato
e ricreato, si compie l'ennesima illusione: il trucco
del coniglio che spunta dal cilindro del mago universale..

Forse se avessimo guardato da un altro punto d'osservazione,
diretto, con mirabile saggenza, l'intero caleidoscopio
su cieli assenti e galassie tra gli specchi
senza mai contestare il prodotto eterno lordo
del buio e della luce;se avessimo solo goduto
il senso univoco dei fiori e dei colori,
senza mai offuscare il lume dell'artista
forse staremmo tutti in pace, finalmente liberi



3.
Concedersi di tanto in tanto il dolce lusso
il sano dubbio : è meglio stare oppure andare?
Ma nulla a questo mondo è davvero bifocale

Se un passo segue l'altro, una è l'orma che lasciamo.
Che sia traccia indelebile impressa quasi in vuoto,
grande balzo del genio umano a spasso sulla luna,
che sia l'impronta fossile del pensiero vestigiale,
uno e soltanto uno è il calco che affondiamo

ben oltre le frenetiche scalate, le atroci scorribande,
le nevi, il fango, l'erba cruda, e il buio da squarciare.

Perché, a memoria d'uomo, le cause del partire
le contrastanti e solitarie ragioni del restare
di pari passo vanno lungo le anguste vie
che corrono e attraversano ogni dannata storia:
siamo le piste insanguinate dell'ultimo bisonte,
le irriducibili barricate prima dell'orrido sentiero

E dunque rinnegarsi a decifrare eventi:
soggetto oggetto; causa effetto; esterno interno.
Quel complesso intento, quel rito tutto biologico
che ad ogni costo vuole sempre travasare senso
in un compendio logico a misura di cervello
come se lingua e segni del cammino ci  appartenessero
incisi a fuoco tra le rughe della fronte, le valvole
del cuore, il vorticoso eccedere di formule e preghiere.
Le presunzioni, dicono, rendono l'uomo scaltro
perfettamente in grado di comprendere
con le dovute cautele il sonno delle rocce,
l'onore delle querce, il sapore delle nuvole

Ma infine scienza o metascienza quel che forse
a malapena emerge dall'utero del mondo
è un'esigenza chimica che aspira al cielo
una ghirlanda accesa tra le pieghe della sera



1 commento:

  1. Ringrazio Stefano per l'ennesima prova di coraggio ospitando un alieno della poesia italiana contemporanea che solo per caso prende il nome di Gabriele Pepe.
    Il titolo del poemetto è "Metafisiche da passeggio" lo rivelo perché nel titolo c'è un po' il senso di ciò che avrei voluto sprimere al di là della metrica e il respiro prosodico. Un po' tra il serio e il faceto c'è l'amara constatazione del totale fallimento dell'ordine cartesiano nel quale la nostra "civiltà" è rimasta prigioniera. Da qui il desiderio di rompere la matrice, gli inganni della ragione per giungere a quella vera consapevolezza della realtà che è "ben oltre i nostri sguardi indagatori". Dall'altro lato superare il muro autocostruito dai sensi e dalla ragione senza però cadere nel suo uguale e contrario ossia la "fede" intesa come "verità" soprattutto quella cieca e insensata delle religioni istituzionalizzate. Ovviamente non sono un filosofo, né un teologo. A malapena scribacchio qualche verso di rado decente e quindi faccio quello che posso ma secondo me oggi come oggi la questione è cruciale.

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